Denunciare la menzogna dell’apartheid israeliano

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Demonstranten mit Schild Boycott Apartheid Israel in Berlin am 01.06.2019. Foto IMAGO / IPON
Demonstranten mit Schild Boycott Apartheid Israel in Berlin am 01.06.2019. Foto IMAGO / IPON
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Il mese scorso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha riaffermato la sua implacabile ostilità verso uno dei suoi stessi Stati membri. Ha votato a stragrande maggioranza – con 125 voti a favore, 8 contrari e 34 astenuti – una risoluzione senza precedenti che autorizza il Consiglio per i Diritti umani (UNHRC) a costituire una Commissione d’inchiesta permanente (CIP) che dovrà indagare sulle accuse di crimini di guerra e di abusi dei diritti umani da parte di Israele. Il denaro dei contribuenti pagherà un budget strabiliante di 5,5 milioni di dollari solo nel primo anno, ben più del doppio di quello della commissione dell’UNHRC che indaga sulla guerra civile siriana.

Fin dalla sua creazione nel 2006, il Consiglio per i Diritti umani ha avviato 32 inchieste, nove delle quali, ossia un terzo, si sono concentrate interamente su Israele. Ma questa Commissione d’inchiesta permanente è la sola ad essere a tempo indeterminato. Non ha limiti di tempo né restrizioni di sorta. Gli Stati Uniti hanno votato contro questa decisione, asserendo che “perpetua la pratica di isolare ingiustamente Israele nelle Nazioni Unite”. Tra gli astenuti c’era l’Australia, il cui rappresentante ha detto, con il suo caratteristico linguaggio schietto: “Ci opponiamo ai pregiudizi anti-israeliani”.

Come gli Stati Uniti, l’Australia e altri Paesi hanno ragione di temere, è inevitabile che Israele verrà dichiarato a torto colpevole della “discriminazione e della repressione sistematiche basate sull’identità nazionale, etnica, razziale o religiosa” su cui la CIP afferma che indagherà.

Mi sembra di capire che la Commissione d’inchiesta permanente intende etichettare esplicitamente Israele come “Stato di apartheid”. Questa menzogna sarà ripresa in tutto il mondo, alimentando ovunque l’odio antisemita contro gli ebrei. Contribuirà a quello che il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid ha definito un dibattito imminente “senza precedenti nel suo veleno, o nella sua radioattività, attorno alle parole ‘Israele, Stato di apartheid'”.

La menzogna “dell’apartheid israeliano” è stata inventata a Mosca durante la Guerra Fredda e fatta ben capire da un’implacabile campagna di propaganda sovietica, fino a quando non prese piede nelle Nazioni Unite, in Medio Oriente e in Occidente. Ciò includeva il ripetuto confronto di Israele con il Sud Africa nei media sovietici e in libri come “Sionism and Apartheid”, una pubblicazione ufficiale in Ucraina, allora parte dell’Unione Sovietica.

Gli studenti a volte ingenui, a volte malevoli, che quest’anno terranno nuovamente la loro velenosa “settimana dell’apartheid israeliano” nelle università di tutto il mondo, ripeteranno a pappagallo la stessa propaganda sovietica come hanno fatto per decenni i loro predecessori. Loro, e molti altri hater di Israele, usano lo slogan dell’apartheid prescindendo dalla realtà che senza alcuna misura razionale Israele può essere considerato uno Stato di apartheid. Lo fanno perché il suo significato è facilmente comprensibile, disgusta le persone e le mobilita a sostegno della causa anti-israeliana. Ecco perché è stato inventato da Mosca.

La macchia dell’apartheid è solo una parte della più grande campagna diffamatoria della storia, organizzata contro Israele, nel corso di molti anni, dal Cremlino e dal KGB, utilizzando le formidabili risorse dei servizi di intelligence dell’URSS. Forse è stata la campagna di disinformazione di maggior successo nella storia sovietica. Resiste e acquista forza anche oggi, a più di 50 anni dalla sua messa a punto e 30 anni dopo il crollo dell’URSS.

Comprendere come questo progetto malevolo abbia avuto origine e si sia evoluto, è essenziale non solo per aiutare a difendersi dalla continua guerra politica condotta contro Israele e gli ebrei, ma anche come case study per le campagne di disinformazione in corso contro l’Occidente da parte di Stati autoritari come Russia, Cina e Iran. Per avere una visione anche superficiale di questo schema accuratamente escogitato, dobbiamo fare un viaggio a ritroso nella storia.

Quando nel 1948 venne ricreato Israele, in seguito alla Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il neo-Stato perseguì inizialmente una politica di non allineamento. Circondato da nemici, aveva bisogno di sostegno economico e di armi da parte degli Stati Uniti e dell’URSS o dei loro alleati. Date le influenze politiche socialiste in Israele, la leadership sovietica si aspettava che il Paese avrebbe virato verso il comunismo e si sarebbe allineato con l’URSS, rafforzando così il potere sovietico in Medio Oriente e la sua più ampia concorrenza con l’Occidente. Una delle ragioni principali per cui Stalin riconobbe rapidamente Israele nel 1948 fu l’intento di usarlo per minare il dominio britannico in Medio Oriente.

Nonostante i grossi sforzi dissimulati e palesi compiuti dall’URSS per attirare Israele nella propria orbita, tale intenzione potrebbe essere stata una vana speranza sin dall’inizio. In ogni caso, le pressioni della Guerra Fredda esercitate negli anni Cinquanta, così come le considerazioni di politica interna e le preoccupazioni sull’antisemitismo in seno all’Unione Sovietica, indussero il primo ministro israeliano David Ben Gurion ad allineare il suo Paese con l’Occidente, a cominciare dal sostegno dato all’intervento militare delle Nazioni Unite, diretto dagli Stati Uniti, in Corea, contro l’egemonia sovietica.

La partecipazione di Israele unitamente al Regno Unito e alla Francia alla campagna di Suez del 1956 alienò ulteriormente il governo sovietico, che scrisse una lettera a Gerusalemme (così come a Parigi e Londra) ) minacciando attacchi missilistici e promettendo sostegno militare diretto all’esercito egiziano.

La rottura delle relazioni diplomatiche tra Israele e l’Unione Sovietica fu in seguito aggravata dalle vittorie difensive di Israele contro gli arabi nel 1967 e poi nel 1973. Nel corso di questo periodo, ogni speranza che Israele diventasse un cliente sovietico era progressivamente svanita. Gli eserciti arabi sponsorizzati, addestrati ed equipaggiati dall’URSS erano stati umiliati, così come Mosca. Pertanto, i sovietici cambiarono la loro politica e decisero di delegittimare Israele. Il loro obiettivo principale era quello di usare il Paese come arma nella Guerra Fredda contro gli Stati Uniti e l’Occidente.

Il Cremlino si rese conto che gli attacchi convenzionali contro Israele non potevano avere successo, pertanto, si concentrò piuttosto sull’utilizzo degli arabi come agenti terroristici, dirigendo, addestrando, finanziando e armando gruppi come il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP), il Comando Generale del PFLP (PFLP-GC), il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina (DFLP) e Fatah, per effettuare attacchi contro obiettivi israeliani ed ebraici, comprese ondate di dirottamento di aerei.

I sovietici impiegarono le stesse tattiche terroristiche altrove, anche in Europa, usando agenti come il gruppo Baader-Meinhof e le fazioni dell’Armata Rossa. I dettagli delle operazioni terroristiche sponsorizzate da Mosca in Medio Oriente e non solo sono riportati in 25 mila pagine di documenti del KGB copiati e poi fatti uscire clandestinamente dalla Russia all’inizio degli anni Novanta dall’archivista del KGB Vasili Mitrokhin e oggi depositati nel Regno Unito, al Churchill College, a Cambridge.

Il generale Ion Pacepa, capo del Servizio di informazioni estere dell’intelligence romena, svolse un ruolo significativo nelle operazioni del blocco sovietico dirette contro Israele e gli Stati Uniti. Nel 1978, Pacepa divenne l’ufficiale dell’intelligence di grado più alto che abbia mai disertato dalla sfera sovietica e, tra le molte rivelazioni segrete, fornì dettagli sulle operazioni condotte dal KGB contro Israele.

Pacepa affermò che il presidente del KGB, Yuri Andropov (poi successore di Breznev come Segretario Generale del Partito Comunista sovietico), gli disse:

“Dobbiamo instillare in tutto il mondo islamico un odio verso gli ebrei simile a quello nutrito dai nazisti e trasformare quest’arma delle emozioni in un bagno di sangue terroristico contro Israele e il suo principale sostenitore, gli Stati Uniti “.

Fu così che la guerra di propaganda divenne un elemento importante della campagna anti-israeliana/anti-statunitense condotta da Mosca in Medio Oriente. Andropov disse a Pacepa:

“L’Islam era ossessionato dall’idea di evitare l’occupazione del suo territorio da parte degli infedeli ed era assolutamente ricettivo al ritratto da noi fatto del Congresso americano come un rapace organismo sionista volto a trasformare il mondo in un feudo ebraico”.

In altre parole, Andropov sapeva che gli arabi sarebbero stati degli strumenti facili nella guerra di propaganda anti-israeliana e stavano già facendo la loro parte. Il loro lavoro doveva soltanto essere concentrato, intensificato e finanziato.

Per raggiungere i suoi obiettivi, il Cremlino ideò l’Operazione SIG, una campagna di disinformazione finalizzata a “mettere l’intero mondo islamico contro Israele e gli Stati Uniti”. Pacepa riferì che nel 1978, nell’ambito dell’operazione SIG, il KGB aveva inviato circa 4.000 “agenti di influenza” del blocco sovietico nei Paesi islamici per contribuire a raggiungere questo obiettivo. Inoltre, vennero stampate e fatte circolare grandi quantità di materiale di propaganda anti-israeliana e anti-ebraica, tradotte in arabo.

In mezzo a questo materiale spiccano i “Protocolli dei savi anziani di Sion”, un falso documentale antisemita che delineava presunti piani segreti degli ebrei per governare il mondo manipolando l’economia, controllando i media e favorendo il conflitto religioso. Fu scritto da agenti della polizia segreta zarista e successivamente utilizzato dai nazisti nella loro propaganda antisemita.

Oltre a mobilitare gli arabi a favore della causa sovietica, Andropov e i suoi colleghi del KGB avevano bisogno di appellarsi al mondo democratico. Per fare ciò, il Cremlino decise di trasformare il conflitto finalizzato meramente a distruggere Israele in una lotta per i diritti umani e per la liberazione nazionale da un illegittimo occupante imperialista sponsorizzato dagli americani. Mosca iniziò a trasformare la narrazione del conflitto da jihad religioso, in cui la dottrina islamica esige che qualsiasi terra che sia mai stata sotto il controllo musulmano debba essere riconquistata per l’Islam, in nazionalismo laico e nel diritto all’autodeterminazione politica, qualcosa di molto più appetibile per le democrazie occidentali. Ciò avrebbe fornito una copertura per una feroce guerra terroristica, ottenendo persino un ampio sostegno a favore di essa.

Per raggiungere il loro obiettivo, i sovietici dovettero creare un’identità nazionale palestinese che fino a quel momento non esisteva e una narrazione secondo cui gli ebrei non avevano diritti sulla terra ed erano nudi aggressori. Secondo Pacepa, il KGB creò l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) all’inizio degli anni Sessanta, così come aveva anche orchestrato i cosiddetti eserciti di liberazione nazionale in diverse altre parti del mondo. Pacepa affermò che la Carta Nazionale palestinese del 1964 venne redatta a Mosca. Questo documento è stato fondamentale per l’invenzione e la creazione di una pseudo-nazione palestinese.

In origine, la Carta per la “Palestina” non rivendicava la Cisgiordania o la Striscia di Gaza. Di fatto, ripudiava esplicitamente ogni diritto su queste terre, riconoscendole a torto rispettivamente come territori sovrani giordani ed egiziani. Invece, la rivendicazione dell’OLP riguardava il resto di Israele. Ciò fu modificato dopo la guerra del 1967, quando Israele espulse gli occupanti illegali giordani ed egiziani e la Cisgiordania e Gaza per la prima volta vennero ribattezzate come territori palestinesi.

La prima menzione dell’espressione “popolo palestinese” per indicare gli arabi di Palestina apparve nella Carta del 1964. In precedenza, e in particolare durante il Mandato per la Palestina della Società delle Nazioni (1919-1948), il termine “palestinesi” era stato comunemente usato per definire gli ebrei che vivevano nel territorio.

Nel 1977, Zuheir Mohsen, un alto dirigente dell’OLP, ammise che

“Il popolo palestinese non esiste. La creazione di uno Stato palestinese è solo uno strumento nella lotta contro lo Stato di Israele in vista del raggiungimento della nostra unità araba. (…) Solo per motivi politici e per ragioni tattiche parliamo oggi dell’esistenza di un popolo palestinese, dal momento che gli interessi nazionali arabi richiedono di postulare l’esistenza di un ‘popolo palestinese’ distinto che possa opporsi al sionismo Sì, l’esistenza di un’identità palestinese distinta esiste solo per ragioni tattiche”.

Questa realtà è stata pubblicamente sostenuta, a volte inavvertitamente, nelle dichiarazioni di molti altri leader palestinesi. Citato da Alan Hart nel suo libro del 1984, “Arafat: A Political Biography”, lo stesso leader dell’OLP Yasser Arafat affermò:

“Il popolo palestinese non ha un’identità nazionale. Io, Yasser Arafat, l’uomo del destino, darò loro quell’identità attraverso il conflitto con Israele”.

Nel 1965, Mosca intraprese per la prima volta alle Nazioni Unite la sua campagna finalizzata a bollare gli ebrei israeliani come gli oppressori del loro inventato “popolo palestinese”. I loro tentativi di classificare il sionismo come razzismo allora fallirono, ma ebbero successo quasi un decennio dopo nella famigerata Risoluzione 3379 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. La sua determinazione secondo cui “il sionismo è una forma di razzismo e discriminazione razziale” fu revocata sotto la pressione degli Stati Uniti nel 1991, ma a quel punto aveva ottenuto grande successo e oggi viene spesso citata dagli attivisti anti-israeliani.

Il dossier Mitrokhin mostra che sia Yasser Arafat sia il suo successore alla guida dell’OLP Mahmoud Abbas, ora presidente dell’Autorità Palestinese, erano agenti del KGB. Entrambi hanno avuto un ruolo determinante nelle operazioni di disinformazione del KGB e nelle sue campagne terroristiche.

Mosca, attraverso l’Egitto, aveva insediato Arafat come leader dell’OLP nel 1969 e il suo sostegno lo tenne lì a dispetto del dissenso interno in seguito all’espulsione dell’OLP dalla Giordania, nel 1970. Secondo Pacepa:

“Nel 1969, il KGB chiese ad Arafat di dichiarare guerra al ‘sionismo imperialista’ americano. (…) Fece talmente leva su di lui che Arafat in seguito affermò di aver inventato il grido di battaglia imperialista-sionista. Ma in realtà, il ‘sionismo imperialista’ era un’invenzione di Mosca, un moderno adattamento dei Protocolli dei savi anziani di Sion e a lungo uno strumento preferito dell’intelligence russa per fomentare l’odio etnico. Il KGB ha sempre considerato l’antisemitismo e l’antimperialismo come un’importante fonte di antiamericanismo…”.

Mosca aveva assegnato alla Romania il compito di sostenere l’OLP, e Pacepa fu il referente di Arafat durante la sua carriera nel KGB. Per tutti gli anni Settanta, fornì ad Arafat 200 mila dollari di denaro riciclato ogni mese. Pacepa agevolò inoltre il rapporto di Arafat con il presidente rumeno Nicolae Ceaușescu, un maestro propagandista che era stato incaricato di insegnargli a ingannare l’Occidente. Per quanto riguarda i suoi rapporti con Washington, Ceaușescu disse ad Arafat nel 1978: “Devi semplicemente continuare a fingere che romperai con il terrorismo e che riconoscerai Israele, ancora, e ancora, e ancora”.

I consigli di Ceaușescu vennero rafforzati da quelli elargiti dal generale comunista nordvietnamita Vo Nguyen Giap. In occasione di uno dei numerosi incontri avuti con Arafat, Giap dichiarò: “Smettila di dire che vuoi annientare Israele e trasforma invece la tua guerra terroristica in una lotta per i diritti umani. Allora il popolo americano crederà ad ogni tua parola”. ( David Meir-Levi, “History Upside Down: The Roots of Palestinian Fascism and the Myth of Israeli Aggression”)

Un documento interno del KGB contenuto negli archivi di Mitrokhin segnalava: “Krotov [nome in codice di Mahmoud Abbas] è un agente del KGB”. La definizione di agenti data dal KGB è la seguente: chi “svolge in modo coerente, sistematico e sotto copertura incarichi di intelligence, mantenendo contatti segreti con un funzionario dell’agenzia”.

Tra gli altri compiti, Abbas venne utilizzato dal KGB per diffondere la propaganda accusando “l’imperialismo occidentale e il sionismo” di collaborare con i nazisti. Nei primi anni Ottanta, Abbas frequentò un’università di Mosca controllata dal KGB. Lì, sotto la supervisione del suo professore che in seguito divenne un politico comunista di alto livello, Abbas scrisse una tesi di dottorato in cui negava la Shoah e accusava i sionisti di aver collaborato con Hitler.

Abbas sta ora iniziando il 18esimo anno del suo mandato quadriennale. Come per il suo predecessore Arafat, il coerente rifiuto di Abbas di ogni offerta di pace con Israele, parlando di pace pur appoggiando il terrorismo, mostra la continua influenza dei suoi padroni sovietici.

La campagna di disinformazione del KGB trasformò l’immagine di Israele da perdente regionale, circondato da potenti nemici, in oppressore colonialista ampiamente odiato e in occupante del popolo palestinese oppresso, una narrazione che oggi continua ad essere forte come sempre.

Lo storico americano David Meir-Levi afferma che il movimento palestinese creato da Mosca è “l’unico movimento nazionale per l’autodeterminazione politica nel mondo intero, e in tutta la storia dell’umanità, ad avere come sua unica ragion d’essere la distruzione di uno Stato sovrano e il genocidio di un popolo”. Ciò rimane esplicito nella Carta di Hamas, mentre è un po’ più opaco nelle dichiarazioni influenzate dai sovietici dell’Autorità Palestinese di Abbas, specialmente in quelle dirette all’Occidente.

La campagna di Mosca è stata considerevolmente minata nel 2020 dal riavvicinamento tra Israele e gli Stati arabi. La lezione qui consiste nell’importanza della volontà politica americana da utilizzare contro la propaganda autoritaria, che ha portato ai rivoluzionari Accordi di Abramo. Se questo progetto fosse stato vigorosamente perseguito dopo il suo successo iniziale, alla fine avrebbe potuto portare al fallimento del progetto palestinese avviato dai sovietici e forse a una qualche forma di pace fra Israele e gli arabi palestinesi. Si potrebbe ancora realizzare, se gli Stati Uniti dovessero nuovamente essere determinati a portarlo a termine.

Nel frattempo, il voto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del dicembre scorso e la determinazione del Consiglio per i Diritti umani di bollare Israele come uno Stato razzista e di apartheid dimostrano che la narrazione sovietica della Guerra Fredda rimane viva e vegeta. Anche la maggior parte delle nazioni occidentali segue ancora alla lettera il programma sovietico.

La Gran Bretagna, ad esempio, già allineata con gli Stati arabi contro Israele a causa sia del petrolio sia dell’antisemitismo esistenti tra politici e funzionari influenti, era più che disposta sin dall’inizio a ingerire l’invenzione sovietica di una lotta tra il nazionalismo palestinese e l’oppressione ebraica, e a bersela completamente. Anche oggi, ogni dichiarazione riguardante Israele da parte di un funzionario o ministro britannico fa inevitabilmente eco alla linea del KGB.

Negli Stati Uniti, la crescente erosione mediatica del sostegno popolare a Israele e le divisioni purulenti che provoca, sono la prova del successo dei fantasmi sovietici contro il loro obiettivo principale: l’America.

Le principali vittime, tuttavia, sono state gli arabi palestinesi, la cui vita è peggiorata, ma anche gli ebrei della diaspora che hanno subito un antisemitismo incommensurabile basato sulla propaganda avviata dai sovietici. Quanto accaduto agli arabi palestinesi forse non era previsto, ma non interessava Mosca; per quanto concerne gli ebrei della diaspora, l’antisemitismo di cui sono stati bersaglio faceva parte del piano.

Ovviamente, gli israeliani hanno pagato a caro prezzo il terrorismo e la propaganda ispirati dal KGB, ma sono sopravvissuti e hanno prosperato anche sotto il peso di una pressione così enorme. Il generale nordvietnamita Giap, che una volta dette un consiglio ad Arafat, come abbiamo visto, ha una spiegazione per questo, come raccontato dal dottor Eran Lerman, ex vice consigliere israeliano per la sicurezza nazionale. Secondo Giap:

“I palestinesi vengono sempre da me e mi chiedono: ‘Avete espulso i francesi e gli americani. Come possiamo espellere gli ebrei?’ Io dico loro che i francesi sono tornati in Francia e gli americani in America. Ma gli ebrei non hanno un posto dove andare. Non li espellerete”.

Il colonnello Richard Kemp è stato comandante delle forze britanniche. È stato anche a capo della squadra internazionale contro il terrorismo nell’Ufficio di Gabinetto del Regno Unito e ora è autore e conferenziere su questioni internazionali e militari.