Francia: Più terrorismo, più silenzio

0
Vue de la zone du 11e arrondissement interdite aux badauds par la police après la fusillade au siège de Charlie Hebdo, prise avec l'aide du journaliste de LCP Jérémie Hartmann. Foto Thierry Caro / Jérémie Hartmann, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=37722952
Vue de la zone du 11e arrondissement interdite aux badauds par la police après la fusillade au siège de Charlie Hebdo, prise avec l'aide du journaliste de LCP Jérémie Hartmann. Foto Thierry Caro / Jérémie Hartmann, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=37722952
Lesezeit: 6 Minuten

Il 25 settembre, a Parigi, due persone sono state accoltellate e sono rimaste gravemente ferite all’esterno dell’ex redazione di Charlie Hebdo, in cui nel 2015 furono assassinati dagli estremisti islamici 12 redattori e fumettisti della rivista satirica. Il sospettato dell’attentato, in custodia cautelare, è indagato per terrorismo.

Analisi di Giulio Meotti

Gli accusati di omicidio della strage del 2015 sono attualmente sotto processo a Parigi.

Poco prima dell’attacco a coltellate, il 22 settembre, la direttrice delle risorse umane di Charlie HebdoMarika Bret, non è tornata a casa. In effetti, non ha più una casa. È stata costretta a fuggire a seguito di gravi e concrete minacce di morte lanciate contro di lei dagli estremisti islamici. La donna ha deciso di rendere pubblica la propria “esfiltrazione” dal suo domicilio da parte dell’intelligence francese per allertare sulla minaccia dell’estremismo in Francia.

“Vivo sotto la protezione della polizia da cinque anni”, ha raccontato la Bret al settimanale Le Point.

“I miei agenti di sicurezza hanno ricevuto minacce specifiche e dettagliate. Avevo dieci minuti per fare le valigie e lasciare la casa. Dieci minuti per rinunciare a una parte della propria vita sono un po’ poco ed è stato molto violento. Non tornerò dove abito. Sto perdendo la mia casa per via dell’odio, quell’odio che inizia sempre con la minaccia di instillare la paura. Sappiamo come può finire.”

La Bret ha inoltre affermato che la Sinistra francese ha abbandonato la “battaglia per la laicità“.

Dall’inizio del processo agli uomini accusati di essere gli autori dell’attacco alla sede di Charlie Hebdo, nel 2015 – e soprattutto con la ripubblicazione delle vignette su Maometto – Charlie ha ricevuto minacce di ogni tipo, comprese quelle di al-Qaeda. Oggi, alla rivista satirica la sicurezza è imponente. “L’indirizzo della nostra redazione è segreto, ci sono cancelli di sicurezza ovunque, porte e finestre blindate, agenti di sicurezza armati, difficilmente riusciamo a fare entrare qualcuno”, ha dichiarato la Bret.

Attualmente, ci sono 85 poliziotti a proteggere i giornalisti di Charlie.

Marika Bret è un’altra clandestina della libertà di espressione in Francia, il Paese di Voltaire. Il primo fu un professore di filosofia, Robert Redeker. Il 17 settembre 2006, Robert Redeker si alza presto per scrivere un articolo per il Figaro sull’Europa alle prese con l’islamismo. Tre giorni dopo, era in una casa sicura e in fuga.

Lo scorso gennaio, Mila O., una sedicenne francese, ha espresso commenti offensivi sull’Islam in un video in diretta su Instagram.

“Durante la diretta streaming, un ragazzo musulmano le chiede un appuntamento che lei rifiuta di dargli dicendo di essere gay. Il giovane risponde accusandola di razzismo e definendola una ‘sporca lesbica’. In un video furioso in streaming, successivo agli insulti ricevuti, Mila replica con veemenza asserendo che ‘odia la religione'”.

E la ragazza dice tra l’altro:

“Conosci la libertà di espressione? Non ho esitato a dire quello che pensavo. Detesto la religione. Il Corano è una religione di odio. Non c’è altro che odio in esso. Questo è ciò che penso. Dico quello che penso (…) l’Islam è m*rda. (…) Non sono affatto razzista. Non si può essere razzista nei confronti di una religione. (…) Dico quello che voglio, dico quello che penso. La vostra religione è una m*rda. Il vostro Dio, gli metto un dito nel c*lo….”.

Dopo che l’indirizzo della sua scuola era stato pubblicato sui social media, Mila è stata costretta a lasciare l’istituto e a traferirsi in un’altra scuola, questa volta tenuta segreta.

Il giornalista Éric Zemmour è stato aggredito più volte sotto casa, mentre la giornalista franco-marocchina Zineb el Rhazoui si è vista pubblicare sui social l’indirizzo della sua abitazione.

Nel frattempo, a suo merito, il presidente francese Emmanuel Macron ha difeso il diritto di Charlie Hebdo alla libertà di espressione. La blasfemia, egli ha dichiarato, non è un reato”.

“La legge è chiara:[in Francia] abbiamo il diritto alla blasfemia, alla critica, alle caricature delle religioni. L’ordine repubblicano non è un ordine morale (…) ciò che è fuorilegge è incitare all’odio e attaccare la dignità.”

In un procedimento giuridico del 2007, i giudici hanno stabilito che “in Francia è possibile offendere una religione, le sue figure e i suoi simboli (…) ma, non chi la professa”.

Tuttavia, le parole coraggiose delle autorità francesi sembrano innocue, smorzate e sorde rispetto alla forza della violenza e dell’intimidazione estremista.

Il fondamentalismo islamico è già riuscito a rimpiazzare non solo migliaia di cristiani perseguitati – come Asia Bibi, costretta a fuggire in Canada dopo essere stata assolta dall’accusa di blasfemia in Pakistan. Questo tipo di estremismo è riuscito anche a trasformare molti cittadini europei in prigionieri, persone che si nascondono nei loro Paesi, condannate a morte e costrette a vivere in case sconosciute insieme ai loro amici e familiari. E noi ci abbiamo fatto l’abitudine!

Il giorno della condanna a morte iraniana contro Salman Rushdie per il suo romanzo I versi satanici, lo scrittore e sua moglie, Marianne Wiggins, furono prelevati dalla loro casa a nord di Londra, dal servizio segreto inglese, per essere portati nella prima delle oltre cinquanta “case sicure” in cui Rushdie è vissuto per i dieci anni successivi.

Il parlamentare olandese Geert Wilders – il cui nome, il prossimo sulla lista dei “bersagli”, era scritto su un foglio di carta infilzato con un pugnale nel petto di Theo Van Gogh, il regista olandese accoltellato a morte – vive in case sicure dal 2004. “Io sono in carcere”, egli dice “e loro se ne vanno in giro liberamente”.

Dieci anni fa, anche una giornalista del Seattle Weekly, Molly Norris, disegnò una caricatura di Maometto in solidarietà con gli autori minacciati di South Park. L’ultimo articolo di giornale che ha parlato di lei rilevava:

“Avrete notato che la striscia di Molly Norris non è contenuta nel numero di questa settimana Questo perché Molly non esiste più (…) su consiglio degli specialisti della sicurezza dell’FBI, lei si trasferirà e cambierà nome…”.

Il quotidiano danese Jyllands Posten, che nel 2005 pubblicò per primo le vignette su Maometto, ha rinunciato. Il giornale ha deciso di non ripubblicare le caricature del Profeta dell’Islam quando Charlie Hebdo le ha riproposte in prima pagina. Flemming Rose, il responsabile della cultura del Jyllands Posten che ha pubblicato le vignette sul quotidiano, è ancora scortato da guardie del corpo. “Ammiro davvero il coraggio di Charlie“, ha dichiarato Rose.

“Eroi che non hanno ceduto alle minacce o alla violenza. Sfortunatamente, nessuna pubblicazione in Francia o in Europa si comporta come Charlie. Ecco perché credo che in Europa esista una legge – non scritta – contro la blasfemia. Non sto criticando i giornalisti e gli editori che fanno questa scelta. Non possiamo incolpare le persone che, a differenza di Charlie, non mettono in pericolo la propria vita. Ma non lasciamoci ingannare: questa mancanza di coraggio nel seguire le orme di Charlie ha un prezzo, stiamo perdendo la libertà di parola e una forma insidiosa di autocensura sta guadagnando terreno.”

Nei giorni scorsi, il nuovo direttore del Jyllands Posten, Jacob Nybroe, ha ribadito:

“Non le pubblicheremo più. Ho confermato questa linea editoriale quando sono arrivato e ho ricevuto molti applausi. Potrò sembrare un vigliacco, ma non possiamo farlo”.

I nomi dei vignettisti danesi sono apparsi sulla stessa “hit list” che al-Qaeda ha pubblicato con il nome del direttore di Charlie Hebdo, Stéphane Charbonnier, ucciso nel massacro del 2015. Il vignettista danese Kurt Westergaard è vivo solo perché durante un attacco terroristico alla sua abitazione è riuscito a nascondersi.

Oggi, la sede centrale del Jyllands Posten ha vetri antiproiettile, sbarre e lastroni metallici, filo spinato e videocamere. Si trova di fronte al porto di Aarhus, la seconda città più grande della Danimarca, ed è sorvegliata giorno e notte. Ogni porta automatica, ogni ascensore richiede un badge e un codice. Si entra come se fosse un caveau di una banca. Si apre una porta e quando si richiude si apre quella di fronte. I redattori entrano uno alla volta. “In poche parole, la libertà di espressione è in pessime condizioni in tutto il mondo. Anche in Danimarca, in Francia e in tutto l’Occidente. Questi sono tempi difficili; le persone preferiscono l’ordine e la sicurezza alla libertà”, ha dichiarato Rose.

Se tutti noi non difendiamo le nostre libertà, presto non le avremo più.

Giulio Meotti, redattore culturale del quotidiano Il Foglio, è un giornalista e scrittore italiano. Prima pubblicazione in italiano a cura di Gatestone Institute.