Diffondere la verità sull’etica palestinese della morte

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Foto Copper Kettle - originally posted to Flickr as Arafat's grave, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=5779085
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Probabilmente mai prima d’ora un nemico aveva diffamato un Paese senza che per contro la nazione attaccata diffondesse ampiamente la verità su quel nemico. Eppure questo è il caso del conflitto israelo-palestinese. I palestinesi hanno accusato Israele di molti mali di cui non è colpevole, l’ultimo dei quali è l’aver diffuso il Coronavirus.

Analisi di Manfred Gerstenfeld

Israele è comunque ben lungi dal menzionare continuamente nella sua diplomazia pubblica che i palestinesi hanno una cultura della morte e sono glorificatori del genocidio e dell’omicidio. La politica del nostro nemico è in parte su base teologica o nazionalistica. Ciò è in linea con atteggiamenti simili in alcune parti del mondo musulmano. È necessario un cambiamento importante nella strategia politica israeliana. Si dovrebbe dare molta enfasi alla cultura della morte palestinese. Ciò richiederebbe anche cambiamenti di politica interna. Le persone che portano bandiere palestinesi – il simbolo del nemico – alle manifestazioni o altrove dovrebbero essere multate. In caso di reiterazione del reato, dovrebbero essere arrestate. Inoltre le autorità israeliane non dovrebbero più chiudere un occhio sull’estrema scaltrezza di alcuni parlamentari della Lista Comune Araba. Per esempio, il suo leader, il parlamentare Ayman Odeh, ha partecipato a una conferenza stampa a Ramallah tenuta all’inizio di luglio da Fatah e Hamas sull’unità palestinese. Tali azioni dovrebbero almeno portare all’espulsione dalla Knesset. Uno dei grattacapi più seri a livello interno è la maggioranza di attivisti troppo liberali – e fuori dal contatto con il grande pubblico israeliano – nella Corte Suprema israeliana. Non ha mai impedito a nessun membro del partito arabo più estremo, Balad, di partecipare alle elezioni della Knesset. Se la Knesset legiferasse per costringere de facto la Corte a farlo, sarebbe un passo avanti importante. Una campagna pubblicitaria omogenea sulle atrocità, sulle dichiarazioni e sulle azioni palestinesi di promozione della morte, aiuterebbe a rendere più chiaro al mondo occidentale che la società palestinese è permeata da desideri di morte e da glorificazione del genocidio e dell’omicidio. Si dovrebbero utilizzare le nuove dichiarazioni palestinesi e i risultati maturati in conformità con esse, per chiarire sempre meglio l’atteggiamento criminale palestinese dominante. L’enfasi dell’ethos palestinese della morte può anche essere usata per spiegare che la “soluzione dei due Stati” – per non parlare della “soluzione di un solo Stato” – non è una chiave per la pace.
Potrebbero volerci molti decenni, se anche fosse possibile, per eliminare il culto della morte palestinese. Ciò contribuirebbe anche a smascherare l’ipocrisia degli europei che affermano falsamente di volere una “pace giusta”. Si potrebbe aprire la discussione chiedendo: “Pensi che sia giusto che il popolo di un’entità che promuove il genocidio e l’omicidio, ottenga come un premio, la promozione a diventare uno Stato?” Questa è solo la prima di molte potenziali domande imbarazzanti. Chi risponde “no” compromette la posizione europea, il che sarebbe un bene. A chi dice “sì” può essere posta un’ulteriore domanda: “I catalani dovrebbero cominciare ad uccidere gli spagnoli per creare una realtà in cui è ‘giusto’ che ottengano il loro Stato?” Uno slogan standard dei palestinesi e dei loro sostenitori in Occidente è “Palestina libera”, che tradotto in un linguaggio più comune suona così: “Sostieni le persone che glorificano il genocidio e l’omicidio perché lo facciano in modo più efficace”. Un’altra espressione dei pro-palestinesi è “Palestina dal fiume al mare”. Potrebbe essere parafrasata come “Il popolo che promuove il genocidio dovrebbe riuscire a ottenere uno Stato dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo uccidendo gli israeliani in massa”. Il movimento Studenti per la Giustizia per la Palestina, dovrebbe riferirsi a “Studenti contro la giustizia per la Palestina”. Vogliono uno Stato palestinese, il che è ingiustificato. Sulla base dell’approccio di cui sopra, Israele potrebbe contrastare molti alleati occidentali dei suoi nemici. Come la maggior parte degli antisemiti, queste persone lo sono part-time. Una personalità di spicco a questo proposito è il senatore ebreo masochista degli Stati Uniti, Bernie Sanders. Lui ha detto: “Non è più sufficiente per noi essere semplicemente (filo-israeliani) pro-Israele. Io sono pro-Israele. Ma dobbiamo trattare anche il popolo palestinese con il rispetto e la dignità che merita”. Se il mondo ebraico americano non masochista fosse organizzato meglio, avrebbe chiesto a Sanders, ovunque andasse nella sua campagna per le primarie” Qual è la dignità di coloro che glorificano il genocidio e l’omicidio e che hanno un ampio sostegno nella società palestinese?” Recentemente è stata prestata molta attenzione a un altro masochista ebreo, Peter Beinart. Lui ha sviluppato un approccio per promuovere gli interessi dei palestinesi interessati a uccidere gli ebrei: la “soluzione di un solo Stato”. Beinart riesce ad immaginare una Patria ebraica in uno Stato su un piano di parità. Questa cosa fuori discussione, non avrebbe dovuto suscitare molto interesse se non fosse che il New York Times ne ha pubblicato una versione abbreviata. A giugno quel quotidiano era già andato in crisi. Aveva pubblicato un editoriale del senatore repubblicano dell’Arkansas, Tom Cotton, che chiedeva l’intervento dell’esercito per gestire le proteste contro il razzismo in corso nelle città americane.
L’editore del giornale, A.G. Sulzberger in un comunicato alla redazione aveva definito la pubblicazione “un cortocircuito nei nostri processi di editing”. Successivamente, il direttore della sezione Opinioni del NYT, James Bennet, si era dimesso. La pubblicazione dell’articolo di Beinart era stata un danno molto più significativo del processo di editing del New York Times. Ha messo in evidenza la profonda ignoranza dei redattori che avevano pubblicato il suo articolo. Avrebbero dovuto insistere perché Beinart spiegasse come lo Stato della Yugoslavia sia andato in pezzi a seguito di guerre omicide dopo decenni di convivenza multietnica e perché uno Stato palestinese-israeliano avrebbe potuto fare di meglio. La Yugoslavia aveva molte più possibilità di sopravvivere a lungo termine rispetto a uno Stato palestinese-israeliano. Beinart saggiamente non ha intitolato il suo articolo “Allahu Akbar” perché allora anche i redattori del New York Times avrebbero capito quanto fosse assurda la sua idea. Resta una grande domanda. Israele ha mantenuto la sua politica errata per molti anni. Ciò ha causato enormi danni. È davvero pensabile che il Primo Ministro Benyamin Netanyahu cambi finalmente idea e adotti una politica più realistica o si deve aspettare che lo faccia il suo successore?
 
Manfred Gerstenfeld è stato insignito del “Lifetime Achievement Award” dal Journal for the Study of Antisemitism, e dall’ International Leadership Award dal Simon Wiesenthal Center. Ha diretto per 12 anni il Jerusalem Center for Public Affairs. Prima pubblicazione in italiano a cura di Informazione Corretta. Traduzione di Yehudit Weisz.