L’Europa non deve essere vittima del ricatto di Erdoğan

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Immagine simbolo. Rifugiati alla stazione centrale di Salisburgo il 17 settembre 2015. Foto PAnd0rA, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=60070876
Immagine simbolo. Rifugiati alla stazione centrale di Salisburgo il 17 settembre 2015. Foto PAnd0rA, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=60070876
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L’autocrate islamista turco, il presidente Recep Tayyip Erdoğan, ha minacciato molte volte l’Europa di “inviare milioni di profughi”. Evidentemente la Turchia vorrebbe vedere maggiori progressi nei colloqui di adesione per diventare membro a pieno titolo dell’Unione Europea. Al momento, questi negoziati sono stati congelati. Il presidente turco potrebbe anche volere avere il sostegno occidentale – da parte dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e della NATO – alla sua visione di espandere il territorio turco nella Siria nordoccidentale.

Poiché in Siria sono stati di recente uccisi dei soldati turchi a seguito di un intervento militare diretto russo, è probabilmente lecito ritenere che il sostegno che Erdoğan sta cercando, direttamente o indirettamente, sia quello da “alleato della NATO contro l’aggressione russa”. Inoltre, Erdoğan vorrebbe sicuramente che l’Occidente sorvoli sul suo marcato deficit democratico e aiuti la Turchia a rafforzare la sua influenza sulle isole greche al largo delle sue coste, così come le sue pretese sui giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale.

Il 27 febbraio, il governo turco ha finito per premere il pulsante per mettere in atto la minaccia del presidente Erdoğan: milioni di migranti (soprattutto siriani) sul suolo turco, liberi di recarsi in Europa perché le porte del confine turco si sono aperte.

Perché il presidente turco ha deciso di ricorrere a questa “soluzione drastica” nell’ambito delle relazioni profondamente problematiche del suo Paese con l’Unione Europea? Sembrerebbe che, in modo bizzarro, Erdoğan abbia deciso di punire l’UE perché lui è arrabbiato con… la Russia.

L’uccisione di 34 soldati turchi, il 28 febbraio scorso, nell’area di Idlib, nel nord-ovest della Siria, da parte delle forze siriane, con il sostegno degli attacchi aerei russi, sembra aver sconcertato i cittadini turchi, che erano già divisi tra una retorica fortemente nazionalista, favorevole alla “missione eroica” che ha portato le truppe turche in Siria, e i dubbi razionali sull’opportunità di affrontare la Siria e la Russia – nonché l’Iran – in quello che sembra essere sempre più un pantano siriano. Si teme anche che le bare avvolte nella rossa bandiera turca possano provocare disordini pubblici e far diminuire ulteriormente la popolarità di Erdoğan.

Per la Turchia, il confronto aperto con la Russia non è un’opzione. Nel novembre del 2015, l’ultima volta che Ankara provò a punire Mosca, la decisione di imporre sanzioni alle imprese turche dopo l’abbattimento di un caccia russo mise Erdoğan in ginocchio: in un raro momento di pentimento, il presidente turco si scusò con il suo omologo russo Vladimir Putin per aver abbattuto il Su-24 russo nello spazio aereo siriano.

Ne seguì un matrimonio di convenienza: i nemici dell’era della guerra fredda sono diventati dei “partner strategici” e questa alleanza è stata suggellata dall’acquisto da parte della Turchia del sistema di difesa missilistico S-400 di fabbricazione russa, nonostante l’impegno di Ankara ad acquistare i propri approvvigionamenti militari dagli alleati della NATO. Dopo la crisi provocata dall’abbattimento del Su-24, la Russia, è “intoccabile” per Erdoğan,

Messo all’angolo da un’opinione pubblica furiosa dopo l’uccisione dei 34 soldati, il presidente turco aveva bisogno di trovare un avversario non russo da attaccare, per distogliere la rabbia dei turchi e convogliarla verso un obiettivo diverso. E quale bersaglio migliore dell’UE, con cui la maggior parte dei turchi ha un rapporto di amore-odio? L’idea di aprire le porte del confine turco e inondare l’Europa di migranti sarebbe piaciuta di certo al turco medio, il quale detesta convivere con 3,6 milioni di profughi siriani e – a beneficio della psiche sciovinista turca – ama l’idea di insegnare agli europei una lezione. Sembra che le masse si elettrizzino sempre quando i loro leader ricorrono all’ostile e sprezzante retorica contro gli europei.

Facendo eco alla psicologia del tipo “rabbia in Siria ma colpendo l’Europa”, di Erdoğan, il portavoce del ministero degli Esteri Hamdi Aksoy ha avvertito le nazioni, compresa l’UE, che se la situazione a Idlib dovesse deteriorarsi l’ondata di profughi e migranti potrebbe continuare. “Alcuni richiedenti asilo e migranti del nostro Paese, preoccupati per gli sviluppi, hanno iniziato a spostarsi verso i nostri confini occidentali”, ha dichiarato Askoy. “Se la situazione peggiora, questo rischio continuerà ad aumentare”.

Ömer Çelik, portavoce del partito al potere di Erdogan concorda. “La Turchia non è più in grado di trattenere i profughi”, ha dichiarato.

Decine di migliaia di questi migranti (non solo siriani) sono stati trasportati gratuitamente a bordo di autobus da Istanbul verso i confini turchi con Bulgaria e Grecia, a circa 150 miglia a ovest della città.

L’1 marzo, il ministro degli Interni turco Süleyman Soylu si è unito al coro asserendo che nel giro di tre giorni 100 mila profughi avevano già attraversato i confini con l’Europa, ma quanto dichiarato sembra più propaganda che realtà. L’intero sforzo sa più di espediente mediatico che di una campagna ben pianificata per inviare centinaia di migliaia di migranti in Europa. (Nel 2015, quando la crisi migratoria era al culmine, arrivavano in Grecia 10 mila persone al giorno.)

Poco dopo che Erdoğan ha annunciato la decisione di aprire il confine turco, la Grecia ha chiuso i suoi confini marittimi e terrestri con la Turchia. Al valico di frontiera, centinaia di migranti, in una situazione davvero tragica, hanno affrontato filo spinato, gas lacrimogeni e granate stordenti. Alcuni profughi, bloccati nella terra di nessuno tra Turchia e Grecia, hanno cercato di sfuggire al fumo tornando dal lato turco, ma le autorità turche li hanno respinti.

Nel frattempo, la Grecia ha dichiarato che le sue forze di sicurezza hanno impedito a 7 mila migranti di entrare in territorio ellenico via terra al confine. “Il governo greco farà tutto il possibile per salvaguardare il suo territorio e proteggere i confini europei”, ha dichiarato il portavoce del governo Stelios Petsas. Atene ha poi mobilitato altre truppe al valico di frontiera. Nel fine settimana del 28 febbraio, sono state schierate 52 navi della Marina greca per proteggere le isole greche vicino alla Turchia. L’1 marzo, i migranti furiosi si sono scontrati con la polizia antisommossa greca. Gli agenti hanno sparato gas lacrimogeni contro di loro, e alcuni migranti hanno cercato di farsi strada in Grecia lanciando pietre contro la polizia e minacciandola con barre di metallo.

Gli sbarchi nelle isole greche sono apparsi più calmi. La polizia greca ha riferito che almeno 500 persone sono arrivate nel giro di poche ore via mare nelle isole di Lesbo, Chios e Samos, vicino alla costa turca. A Lesbo, la popolazione locale ha impedito l’attracco a una barca piena di migranti.

Intanto, Frontex, l’agenzia per il controllo delle frontiere dell’UE, ha detto di essere in stato di massima allerta e di aver fornito un ulteriore sostegno alla Grecia. “Noi (…) abbiamo portato ad ‘alto’ il livello di allerta per tutte le frontiere UE con la Turchia”, ha dichiarato un portavoce dell’agenzia. “Abbiamo ricevuto una richiesta di ulteriore aiuto. Abbiamo già disposto l’invio in Grecia di altre attrezzature tecniche e di uomini”.

Ma se l’Europa vuole proteggere la propria libertà e sovranità deve difendersi. Deve rifiutare di accettare gli ostaggi di Erdoğan. Proteggere i confini marittimi del Mar Egeo è spesso un compito difficile e oneroso, ma non è militarmente impossibile. Se i primi gruppi di questo mini-esodo dalla Turchia dovessero far fronte a un serio blocco anziché trovare autoctoni disponibili e accoglienti, i potenziali migranti sarebbero scoraggiati dal fare un viaggio così pericoloso.

Ciò che la Grecia potrebbe ottenere senza l’aiuto dell’UE sarebbe limitato: la Grecia ha l’1 per cento della popolazione europea, ma elabora l’11 per cento delle domande di asilo. I leader dell’UE dovrebbero agire rapidamente per aiutare la Grecia e la Bulgaria a sigillare i loro confini con la Turchia – finanziando programmi di sicurezza delle frontiere, inviando ulteriore personale addetto al pattugliamento ed equipaggiamenti, e trasferendo tecnologia e attrezzature per un confine più sicuro tra la Turchia e l’Europa.

Burak Bekdil, uno dei maggiori giornalisti turchi, è stato di recente licenziato da un importante quotidiano del paese dopo 29 anni di lavoro, per aver scritto sul sito web del Gatestone ciò che sta accadendo in Turchia. È membro del Middle East Forum. Pezzo in lingua originale inglese: Europe Must Not Fall Victim to Erdoğan’s Blackmail. Traduzioni di Angelita La Spada